Le parole di padri e madri che hanno indicato questo spazio come importante sono innumerevoli e non è possibile elencarli. Sono coloro i quali mi hanno mostrato la Chiesa del Concilio, che era un sogno – come quelli biblico – e non un’utopia.

Forse è più facile trovare il motivo per cui gli orizzonti indicati da maestri sono diventati  luoghi da percorrere. Credo che alla radice stia la dimensione educativa, nel senso ampio del termine. L’educare sta sempre al limite della persona, ma anche dei contenuti: l’educatore non se ne appropria; per darli piuttosto entra ed esce da essi perché altri possano accedervi,  a modo loro.  Immagine classica,  e forse scontata, è sempre quella della voce che grida, come Giovanni Battista.

Ma ancora: la forza di organizzare una vita che cerca di  stare e al limite e offrire il limite della città nasce dalla consapevolezza che l’ascolto dell’ Altro ci riconsegna la verità di ciò che siamo e viviamo.

Il limite dice sempre di un oltre, almeno pone la questione: che c'è oltre? C'è un oltre?

Stare al limitare della città ha avuto e ha il senso di porre la questione, innanzitutto a me stessa perché solo così potrò dire la verità, anzi forse semplicemente mostrare la verità di questo esercizio della domanda. Esercizio che attraversa la nostra vita. Così ero al limitare della città anche quando ho vissuto in un “appartamento di preghiera” in una zona neppure troppo periferica della città di Milano. E’ come cercare lo spazio bianco del testo, spazio che per la poesia diventa elemento strutturante: le parole diventano poesia grazie anche allo spazio bianco in cui sono impaginate.

Che gesti nascono da questo guardare il limite come il segnale di un oltre?

Condividere le domande che la città porta con sé, in sé. Il che tradotto ancor più concretamente è percorrere alcune piste di riflessione, interessi che sono il mio essere in città, il mio essere della città. Per me per esempio è la questione femminile una questione che interpella, che mi fa camminare con molte donne della città.

Io, non solo io ma anche io, ho però scoperto e apprezzato il limite proprio a partire dall’ascolto della Parola, che sembra voler superare, annullare il limite.  E così stare al limite e domandarsi l’oltre è – con maggior verità – chinarsi sul quotidiano per cogliere lo spazio bianco che la Parola  fa intuire, mostra: riconsegnando a se stessa la verità di ciò che riempie lo spazio.  Così nel condividere le domande  che vivo sta la ricerca di comprendere il circolo virtuoso che si insatura tra la domanda e la Scrittura che narra una storia unica e definitiva.  

Tutto questo segna proprio il quotidiano, l’organizzazione della giornata nella sua banale concretezza. Un esempio per tutti: spesso mi chiedono a che ora celebro il vespro?  Certo prima o poi un appuntamento preciso c’è, per ovvie ragioni, ma non c’è l’ora se non nella misura del “di solito”. Non per distrazione,  o per ruolo secondario, ma perché al Vespro devo arrivare come approdo di questo riconoscimento del limite. Il Vespro, ma pure l’ora media,   segnano e percorrono il limite e – a alla fine – pongono un limite alla “ città”.

Da qui anche la custodia di una vita, che salendo e scendendo dal colle, tuttavia  ha come polo organizzatore l’esercizio dell’ascolto della Parola nella preghiera e nello studio, ma pure della riflessione della città.

Così vivo io, e  così pure accolgo ( mi riferisco a quel po’ di persone che in questi anni hanno cercato qui una sosta, non solo il luogo del ritiro del gruppo parrocchiale)  . Se uno schema c’ è, è perché esso ha dalla sua l’esperienza che suggerisce alcune cose piuttosto che altre, ma il come dell’accoglienza è costruito insieme, non c’è binario in cui bisogna inserirsi. E questo capisco che ogni tanto un po’ smarrisce e anche per me è fatica.

Alcuni ospiti, anche sacerdoti, che hanno passato qui qualche tempo, hanno sempre visto nella dimensione della casa e degli edifici ( la ristrutturazione ha mantenuto la memoria dell’origine quale casa di campagna) (che vuol dire) un non porsi come realtà alternativa: non impone una scelta, non è particolarmente straniante starci, è molto simile alla vita di sempre, eppure vi si possono scorgere delle differenze. Questo è un aspetto per me molto importante nell’accoglienza. Casa Santa Marcellina non è un Monastero e per certi aspetti neppure una severa casa di esercizi ( ci vuole tutto e ognuno ha la sua parte). E' uno spazio dove si entra con la propria quotidianità ferita e confusa, la si immerge nella Parola, nel silenzio, nel colloquio sereno e si  esce  per ritornare in città.  A dire il vero (è anche) questo è l’aspetto più impegnativo perché c’è tutta un’attenzione a far sì che  (comunque) tutto si raccolga intorno al Centro.

La città è intrigo di mondi, di relazioni. Oscilla tra il faticoso  labirinto e l’appassionante percorso perché costituito da ricche diversità.  La città è massificazione e individualismo esasperato.

La Parola è lampada ai nostri passi, perché ci fa percorrere la via non verso la massa né verso (cercando di non essere né massa né) un io isolato: così come è successo a Pentecoste. Tutti si parlano l’una l’altro ma ciascuno comprende nella propria lingua l’unica parola di salvezza.

In città ci sono anche molti “steccati”, muri di differenze che stentiamo a valorizzare e con cui stentiamo a dialogare (diceva la lingua di un’epoca politica ed ecclesiale che sembra distante anni luce) (questo tra parentesi non capisco). Riconoscere un limite mi sembra permetta di superare un po’ tutto. Ancora l’esperienza consegna che una realtà al limite fa incontrare tra loro persone diverse e dialogare con realtà distanti. Speranza da custodire. Questo aspetto passa anch’esso attraverso una realtà che per esempio interpella il singolo per sé e non vuole costruire un gruppo. L’altro giorno mi chiedevano se avevo contatti con movimenti. Non capivo donde nascesse la curiosità e dove volesse finire. Non mi è mai capitato e non ci avevo riflettuto, ma poi ho compreso come lo stile stesso non inviti ad occupare lo spazio per inglobarlo, cosa che spesso succede ai movimenti – per la loro forma stessa - .

La prima città è quella fondata da Caino, l’ultima è la Gerusalemme celeste. E’ un percorso che affascina e mi interpella. Sappiamo che in vari modi Israele e Gesù sono usciti dalla città per disporsi ad accogliere la Gerusalemme celeste. Tuttavia, come ho imparato da Padre Francesco Rossi De Gasperis, la Gerusalemme celeste sarà pur sempre quella che noi incontriamo nella storia, con tutte le sue contraddizioni. Per questo essa va custodita.

Ecco un giorno mi sono detta : è bene incontrare la Parola che ci accompagna, in città appunto. Disponendomi a questo è venuto naturale stare al limite per riconoscere, attraversare  tutta la distanza che c’è tra Enoc,  la citta di Caino,  e la Gerusalemme celeste,  città di Dio con gli uomini e le donne.  Vivere per poter condividere tutto ciò. 

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